Premessa – retrospettiva  storica

Nell’era protoindustriale, la responsabilità della sicurezza era tutta a carico del lavoratore. Le macchine dovevano svolgere le loro funzioni, e basta; toccava esclusivamente ai lavoratori stare attenti a non farsi male. Gli ambienti di lavoro erano considerati una variabile indipendente.

Negli ultimi decenni del secolo scorso si è rovesciata quest’ottica. Tutto il focus si è spostato sulla sicurezza intrinseca della macchina, delle condizioni e dell’ambiente di lavoro. La legislazione pre 626 è fondamentalmente basata su questi principi. E’ emerso il mito dell’”infortunio impossibile”, che sarebbe reso tale da macchine e posti di lavoro ideali.

Già con la 626 (emanata nel 1994 e sostituita, nel 2008, dal D.Lgs. 81) si riporta, almeno in parte, l’accento su fattori soggettivi, legati alla competenza delle persone, a precise assegnazioni di responsabilità a tutti i livelli, alla valorizzazione delle valutazioni. La valutazione dei rischi, le misure di riduzione dei rischi residui, la formazione divengono le colonne portanti dei sistemi di Salute e Sicurezza sul Lavoro (S&SL); e insieme ad esse, restano e si ampliano quelle relative sia a impianti e a posti di lavoro (quali le nuove postazioni con Vdt) sia ad operazioni specifiche (quali la movimentazione dei carichi, i lavori in quota, ecc.).

Con la Behavior Based Safety (BBS) si va ancora più avanti su questa strada; tramontato il mito di rendere impossibile l’infortunio semplicemente agendo sugli impianti e sui posti di lavoro, si scava sulle cause degli infortuni risalendo fino ai comportamenti usuali delle persone. Un altro strumento fra i tanti ? sicuramente si tratta di un altro strumento, ma che riveste particolare rilevanza e innovazione perché va molto più a fondo sulla comprensione del fenomeno infortunistico, risalendo alle origini , ossia alle modalità comportamentali delle persone, e sviluppa la svolta concettuale avviata dalla 626. Uno strumento con il quale ogni Rspp e ogni esperto di sicurezza sul lavoro in genere deve acquisire conoscenza e familiarità.

Mantenere una visione integrale

Con la BBS si riporta quindi l’attenzione anche sul fattore umano, senza radicalizzazioni ed eccessi che rischiano di farci tornare al passato, a quell’era protoindustriale dalla quale abbiamo preso le mosse (e la tentazione si è manifestata talvolta anche in sedi autorevoli  o presumibilmente tali),  ma riportando alla sua completezza il quadro concettuale entro cui si colloca il tema della S&SL.

Un quadro che è lo specchio di un quadro operativo e sociale, che è fatto di persone, di macchine e di norme, e che non va mai ignorato nella sua globalità e nelle sue interazioni, anche nel momento in cui si porta maggiormente l’attenzione su una qualsiasi di queste componenti.

Dove si fermano le prassi correnti

Qual è lo stato dell’arte più diffuso attualmente ? la maggior parte delle organizzazioni effettua, in applicazione del D.Lgs. 81/2008, una valutazione dei rischi per mansione e/o per posto di lavoro individuando i pericoli ai quali sono esposti i lavoratori,  e quindi stimando sia la probabilità (P) che possa verificarsi un infortunio sia l’entità del danno risultante (D). Il prodotto P x D (da taluni corretto con un fattore che tiene conto della formazione erogata agli interessati) rappresenta la misura del rischio. Le statistiche relative agli infortuni effettivamente realizzatisi nel passato, se sufficientemente significative, e quindi se riferite a numeri sufficientemente elevati, possono essere di notevole utilità per valutare / stimare al meglio entrambi i fattori di rischio, e per adottare le opportune misure preventive. Ciò può avvenire in genere solo nelle aziende di grandi dimensioni, cioè in pochissimi casi.

La corretta e integrale applicazione di un sistema gestionale come quello descritto dalla specifica OHSAS 18001 amplia di oltre un ordine di grandezza  la base di eventi sui quali riflettere e ai quali applicare gli strumenti della statistica. Secondo questo sistema, infatti, si prendono in considerazione non solo gli infortuni effettivamente verificatisi, ma anche – almeno in teoria – tutti gli incidenti, inclusi quindi quelli che avrebbero potuto dare luogo a un infortunio, che fortunatamente non si è verificato (“mancati infortuni”, “near-miss”). Secondo gli studiosi, il rapporto fra mancati infortuni e infortuni è dell’ordine di 30:1. Chi riesce a rilevare e registrare i mancati infortuni dispone quindi di una base di dati molto più ampia, e quindi molto più utile, di chi non lo fa.

Risalire alle cause primarie

Secondo la BBS,  a monte di ogni infortunio o di ogni mancato infortunio c’è un comportamento “insicuro” (preciserò meglio questo concetto poco più vanti); ma non è vero il contrario: non tutti i comportamenti insicuri, fortunatamente, danno luogo a un infortunio. Tutt’altro: secondo gli studi di Heinrich, uno dei padri fondatori della BBS che sin dal 1931 teorizzò il noto “triangolo della sicurezza” (H. W. HEINRICH, Industrial Accident Prevention, McGraw-Hill Book Company, New York, 1941), si possono contare dieci comportamenti insicuri per ogni incidente e quindi 300 comportamenti errati per ogni infortunio. Individuare e analizzare comportamenti insicuri, quindi, non solo mette a disposizione una base di dati vastissima per capire l’origine degli infortuni, ma – cosa ancor più importante – consente di intervenire sulle cause a monte per prevenire il verificarsi degli infortuni.

Che cosa sono i comportamenti

Occorrerebbe, a questo punto, soffermarsi sul concetto di “comportamento”, e questa osservazione può sorprendere chi ritiene ovvio il significato della parola “comportamento”. Eppure su questo concetto si è esercitata ormai per un secolo quella corrente della psicologia definita come comportamentale (o “behaviorismo”) e successivamente “neocomportamentale”.

Allontanando da me la benché minima pretesa di addentrarci in questo terreno, tenterò almeno di definire e caratterizzare il termine “comportamento” senza incoerenze con lo scenario scientifico retrostante, e che sia di pratica utilità per proseguire il nostro discorso. Ai nostri fini, intenderemo  pertanto come  “comportamento”  un’azione intenzionale osservabile che deriva da certi stimoli, sotto l’influenza di certe variabili (mentali, ambientali, ecc.) e genera certe risposte. Tali risposte possono poi retroagire, e consolidare o modificare i comportamenti futuri a parità di stimoli.

Il lettore avrà già capito dove andiamo a parare: in presenza di certi stimoli e di certe variabili, si potranno generare comportamenti più o meno sicuri (è un continuum, ma per semplicità parleremo schematicamente di “comportamenti sicuri” e “comportamenti insicuri”); intervenendo su stimoli e variabili (che in BBS si definiscono di solito “antecedenti”) e sulle risposte (che in BBS si definiscono di solito “conseguenti”) si può influenzare il comportamento in senso virtuoso, e cioè al fine di renderlo sicuro.

Trasferiamoci ora in un ambiente di lavoro, per proporre altri concetti, che ci portano un poco alla volta a fornire indicazioni operative.

Il primo è quello di “comportamento critico”. E’ ovvio che non potremo mai rilevare e analizzare tutti i possibili comportamenti messi in atto nell’ambiente di lavoro, e non ci importa per nulla farlo; infatti, la stragrande maggioranza di essi sono irrilevanti rispetto al fenomeno infortunistico, che è quello che ci interessa veramente. Ci interessano quindi soltanto quei comportamenti potenzialmente rilevanti per il fenomeno infortunistico, ovverosia quelli che, se svolti in maniera insicura, espongono al rischio di infortunio. Questi sono i “comportamenti critici” per la sicurezza.

Al concetto di comportamento critico si associa quello di comportamento (atto) a rischio (insicuro), che corrisponde alla materializzazione effettiva secondo modalità insicure del comportamento a priori critico.

Per chiarire meglio la differenza: il lavoro in quota è di per sé, a priori, un comportamento critico; il lavoro in  quota effettuato con attrezzature inadatte o senza gli opportuni dispositivi di protezione individuale (imbracature, ecc.) è un “comportamento a rischio”, o, se si preferisce, un “atto insicuro”.

Mentre la psicologia comportamentale ci fornisce il modello antecedenti – comportamento – conseguenti, ci aiuta solo in parte  a individuare gli antecedenti e i conseguenti più efficaci per la modifica del comportamento in senso virtuoso. A tal fine, aiuti sostanziali ci arrivano invece dalla psicologia industriale.

Dalla psicologia comportamentale deriva l’importantissimo concetto di “rinforzo”, che si può definire come uno stimolo (siamo sempre in un anello di retroazione) che tende ad aumentare la probabilità di comparsa della risposta che lo ha preceduto; più specificamente, una ricompensa. In parole povere: se a seguito di un comportamento io ricevo un premio (“rinforzo”) è maggiore la probabilità che io ripeta quel comportamento anziché mettere in atto un comportamento contrario. Viceversa se ricevo una punizione. Come si è accennato, è specialmente la psicologia industriale che ci aiuta ad approfondire i concetti di “premio” e “punizione” nell’ambiente di lavoro; ma non è questo l’obiettivo del presente articolo, semmai se ne potrà riparlare in un articolo successivo.

A questo punto, possiamo cominciare a delineare i passi principali di un intervento di BBS.

Occorrerà anzitutto definire l’area di intervento e designare le persone da coinvolgere. E’ consigliabile identificare aree di intervento non eccessivamente estese, sulle quali avviare un primo progetto pilota, e quindi anche innescare un processo di apprendimento. Le estensioni verranno successivamente. Per quanto riguarda il coinvolgimento delle persone, la chiave non può che essere quella della collaborazione fra le linee (dirigenti, preposti, lavoratori), lo staff competente (Servizio di Prevenzione e Protezione), e il o i rappresentanti dei lavoratori (RLS). Dalla parte delle linee, generalmente è il preposto, colui che gestisce direttamente il lavoro che si svolge nell’area di sua responsabilità, nella condizione ideale di dare un apporto preciso e consapevole.

Si premetta anche che l’intervento non è avulso da o alternativo rispetto a quelli più consueti che discendono dal D.Lgs. 81/2008, tutt’altro; ne è anzi la continuazione e l’approfondimento. In questa luce, una buona rilettura di una (si spera buona) valutazione dei rischi relativa all’area presa in considerazione potrà essere di notevole aiuto per l’identificazione dei comportamenti critici.

La fase di identificazione, elencazione e descrizione dei comportamenti critici prende il nome di “Behavioral Inventory”.

Dopo questa fase relativamente “asettica” si entrerà nel vivo delle operazioni, andando ad osservare e rilevare le effettive modalità con le quali sono svolti in concreto i comportamenti critici (“behavioral audit” o “behavioral observation”). La rilevazione dovrà essere qualitativa e quantitativa, effettuata mediante  “osservazioni” a campione sul posto di lavoro da un team di “osservatori” (preferibilmente dello stesso livello degli “osservati”), precedentemente istruiti, per determinare se i comportamenti critici sono svolti in maniera sicura o non sicura e rilevare con quale frequenza rispetto al totale vengono  messi in atto eventuali comportamenti insicuri. Per evitare la sofisticazione di dover valutare quanto insicuri sono i comportamenti insicuri, e per poter avere dati che si prestano meglio a successivi interventi, occorrerà riferirsi a comportamenti “elementari”. Ad esempio: effettuare un lavoro in quota con una scala non adatta, senza Dpi e in condizioni di scarsa illuminazione è un comportamento insicuro suddivisibile in tre comportamenti insicuri “elementari”: sono questi, con le rispettive frequenze di accadimento, che entreranno nella nostra classificazione dei comportamenti insicuri.

Si noti che la misura, per ogni comportamento critico della percentuale di comportamenti svolti in maniera sicura sul totale apre prospettive previsionali a riguardo delle prestazioni di sicurezza sul lavoro, grazie alla correlazione esistente tra comportamenti critici ed infortuni.

Completata questa fase, è opportuno sedersi intorno a un tavolo per verificare quanto è stato fatto, consolidare i dati, rilevare eventuali lacune, ecc., e probabilmente cominciare a ragionare in termini  di priorità.

Arriviamo al momento forse più delicato: l’analisi delle cause dei comportamenti insicuri (“behavior analysis”), in termini di antecedenti e di conseguenti. Perché quel tale operatore mette in atto un comportamento insicuro ? ad esempio:

Antecedenti

Non dispone delle attrezzature necessarie

Ritiene inutili (o anche fastidiosi) i Dpi

Non ha ricevuto una formazione adeguata

Ha fretta

Conseguenti

Riscuote l’approvazione dei colleghi

Guadagna tempo libero per prendere un caffè o scambiare due parole con i colleghi

Aumenta la produttività, ed è apprezzato dai superiori

E come si può intervenire su antecedenti e conseguenti al fine di modificare il comportamento e renderlo sicuro ?

L’analisi comportamentale è detta A.B.C. (Antecedenti – Behavior – Conseguenti) e costituisce lo strumento fondamentale per assumere decisioni in merito alle correzione / miglioramento del comportamento, ovviamente integrato con altre informazioni (per esempio l’analisi degli infortuni e degli incidenti).

In seguito all’analisi si adottano le azioni correttive dello  specifico comportamento, introducendo variazioni di antecedenti e conseguenze, inclusa ovviamente la presa in considerazione tutte le variabili interne o esterne al rapporto fra la persona e la sua attività di lavoro, delle quali si è già detto in precedenza.

Fasi di riesame, di verifica, di feedback, di consultazione saranno fondamentali per il successo di un progetto BBS. A questo proposito, si deve osservare che l’intervento di BBS non è un “programma” temporaneo, ma un modello gestionale da applicare con continuità, e ribadire che non si tratta di un’alternativa al D.Lgs. 81, bensì di una modalità avanzata per applicarne i principi e perseguirne le finalità, ferma restando e anzi valorizzando l’organizzazione, i ruoli, il “management system” che lo stesso D.Lgs. 81 prevede.

Le finalità non sono meramente quelle di “migliorare” o “condizionare” il comportamento del lavoratore e tanto meno di colpevolizzare il lavoratore stesso, ma quelle  di individuare e rimuovere gli ostacoli al lavoro in sicurezza, non di rado determinati da fattori organizzativi o produttivi, in uno spirito di partecipazione e responsabilizzazione di tutte le parti coinvolte.

Tutti i passi applicativi della BBS verranno ripetuti ciclicamente, nell’ottica di perseguire il miglioramento continuo del comportamento sul posto di lavoro. Ciò fa della BBS uno strumento che si inserisce perfettamente nella filosofia dei sistemi di gestione della sicurezza, quale quello, già ricordato, descritto dalla specifica OHSAS 18001.

Per concludere, vorrei osservare che prevenire e ridurre gli infortuni non è solo un dovere etico e sociale. E’ anche conveniente. Il costo degli infortuni è misurabile solo parzialmente come assenza dal lavoro o ridotta capacità lavorativa, ed  è comunque già altissimo se ci fermiamo qui. Esso cresce poi sia per la mancata fruizione delle riduzioni dei premi assicurativi correlati alla bassa infortunosità sia per il rischio di sanzioni; e cresce ulteriormente, anche se è difficile o addirittura impossibile da calcolare, se si pensa agli aspetti motivazionali e del loro impatto sull’efficienza dell’organizzazione.

L’applicazione di tecniche BBS è arrivata fino ad azzerare gli infortuni in molte delle organizzazioni che se ne sono avvalse. E’ difficile quindi pensare a un RSpp professionalmente evoluto che non le conosca e non le metta in atto.

 

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